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Guerra del Golfo | |||
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Data | 2 agosto 1990 - 28 febbraio 1991 | ||
Luogo | golfo Persico | ||
Casus belli | Invasione irachena del Kuwait | ||
Esito | Vittoria della Coalizione. Ritiro delle truppe irachene dal Kuwait. |
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La guerra del Golfo (2 agosto 1990 – 28 febbraio 1991),[1] detta anche prima guerra del Golfo in relazione alla cosiddetta seconda guerra del Golfo, è il conflitto che oppose l'Iraq ad una coalizione composta di 35 stati[2] formatasi sotto l'egida dell'ONU e guidata dagli Stati Uniti, che si proponeva di restaurare la sovranità del piccolo emirato del Kuwait, dopo che questo era stato invaso dall'Iraq.
Il 2 agosto del 1990 il ra‘īs (presidente) iracheno Saddam Hussein invase il vicino Stato del Kuwait. Le ragioni dell'invasione vanno rintracciate su due livelli: il primo, consistente in una prova di forza con gli Stati Uniti ed i loro alleati, come conseguenza della ambigua politica mediorientale portata avanti dal governo di Washington durante e dopo la Guerra Iran-Iraq ; il secondo rivendicando l'appartenenza del Kuwait alla comunità nazionale irachena, sulla scorta del comune passato ottomano e di una sostanziale identità etnica, malgrado tuttavia l'Iraq avesse riconosciuto l'indipendenza del piccolo Emirato del golfo Persico quando questo era stato ammesso alla Lega araba.
L'invasione provocò delle immediate sanzioni da parte dell'ONU che lanciò un ultimatum, imponendo il ritiro delle truppe irachene. La richiesta non conseguì risultati e il 17 gennaio 1991 le truppe americane, supportate dai contingenti della coalizione, penetrarono in territorio iracheno. Le operazioni di aria e di terra furono chiamate, dalle forze armate statunitensi, Operation Desert Storm motivo per cui spesso ci si riferisce alla guerra usando la locuzione "Tempesta nel deserto".
La prima guerra del Golfo fu anche un evento mediatico che segna uno spartiacque nella storia dei media. Fu infatti definita La prima guerra del villaggio globale[3].
Indice |
A poche ore dall'invasione del 02/08/1990, la popolazione del Kuwait e le delegazioni statunitensi richiesero un meeting del consiglio di Sicurezza ONU, che aveva approvato la risoluzione 660, dove veniva condannata l'invasione e richiesto il ritiro delle truppe irachene. Il 6 agosto, la risoluzione 661 stabilì delle sanzioni economiche contro l'Iraq.
La decisione presa dall'occidente di combattere l'invasione irachena fu incoraggiata dalla potenziale minaccia irachena all'Arabia Saudita. Il rapido successo dell'esercito iracheno aveva infatti esposto pericolosamente il vicino campo petrolifero di Hana ad eventuali incursioni irachene. Tra l'Iraq e l'Arabia erano presenti diversi attriti: i debiti generati dalla guerra Iran-Iraq verso l'Arabia ammontavano a 26 miliardi di dollari ed inoltre il confine tra le due nazioni era mal definito. Inoltre la posizione saudita nel frenetico gioco diplomatico che aveva preceduto l'invasione aveva dato all'Iraq chiara dimostrazione di come i propositi del suo presidente (esponente dell'ala panaraba del partito socialista Baath) non fossero condivisi dal Sultano di Riad. Subito dopo la vittoria sul Kuwait, Hussein iniziò ad attaccare verbalmente la dinastia saudita, affermando che le nazioni amiche degli Stati Uniti erano guardiane illegittime delle città sante de la Mecca e di Medina. Hussein combinò il linguaggio dei gruppi islamici che erano stati recentemente combattuti in Afghanistan con la retorica usata dall'Iran per attaccare i sauditi.
Per approfondire, vedi la voce operazione Desert Shield. |
Nel 1980 l'allora presidente Jimmy Carter fece la seguente dichiarazione riguardante la sicurezza della regione del golfo Persico, che divenne nota come la dottrina Carter:
(EN)
« ...an attempt by any outside force to gain control of the Persian Gulf region will be regarded as an assault on the vital interests of the United States of America, and such an assault will be repelled by any means necessary, including military force. »
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(IT)
« ...il tentativo di una forza esterna di controllare la regione del golfo Persico sarà considerata come un assalto agli interessi vitali degli Stati Uniti d'America, e come tale sarà respinto con tutti i mezzi necessari, inclusa la forza militare »
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Il presidente Ronald Reagan illustrò nel 1981 questa politica dichiarando che gli Stati Uniti avrebbero usato la forza per proteggere l'Arabia Saudita, la cui sicurezza era minacciata dalla guerra tra Iran e Iraq. In base a questo e temendo che l'esercito iracheno potesse lanciarsi in un'invasione dell'Arabia, il presidente George H. W. Bush annunciò che gli Stati Uniti avrebbero intrapreso una missione "totalmente difensiva" chiamata operazione Desert Shield per prevenire un'invasione dell'Arabia da parte degli iracheni. Le truppe statunitensi furono inviate nell'Arabia il 7 agosto 1990.[4] L'8 agosto l'Iraq dichiarò che parti del Kuwait sarebbero state annesse alla provincia di Basra mentre il resto avrebbe costituito la 19ª provincia dell'Iraq.[5]
La Marina statunitense mobilitò due gruppi navali, le portaerei USS Dwight D. Eisenhower e la USS Independence presenti nell'area assieme alle loro scorte. Un totale di 48 F-15 Eagle del 1st Fighter Wing alla base aerea di Langley in Virginia giunsero in Arabia Saudita, iniziando immediatamente pattugliamenti del confine iracheno per rilevare e prevenire avanzate irachene. Le truppe di terra raggiunsero le 500 000 unità. Gran parte del materiale logistico venne trasportato per via aerea o tramite navi da carico veloci. Tuttavia gli analisti militari erano concordi nel ritenere che le forze statunitensi sarebbero state insufficienti per fermare un'eventuale invasione irachena dell'Arabia Saudita.
Tra le varie risoluzioni ONU, la più importante fu la numero 678, approvata dal Consiglio di Sicurezza il 29 novembre, dove era stabilito l'ultimatum per la mezzanotte del 15 gennaio 1991 Eastern Standard Time (altrimenti ore 08:00 am del 16 gennaio 1991 ora locale dovuta a una differenza di 8 ore tra Washington Eastern Standard Time e Baghdad) per il ritiro delle truppe irachene ed erano autorizzati "tutti i mezzi necessari per sostenere e implementare la risoluzione 660", una formula diplomatica per l'approvazione dell'uso della forza.
Gli Stati Uniti assemblarono una coalizione di forze contro l'Iraq. Essa era costituita da 34 nazioni: Arabia Saudita, Argentina, Australia, Bahrain, Bangladesh, Brasile, Canada, Cile, Colombia, Danimarca, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Francia, Germania, Grecia, Honduras, Italia, Kuwait, Marocco, Nuova Zelanda, Niger, Norvegia, Paesi Bassi, Oman, Portogallo, Qatar, Regno Unito, Senegal, Spagna, Sudafrica, Corea del Sud e gli stessi Stati Uniti d'America
Alcune nazioni furono restie nell'unirsi alla coalizione; alcune convinte che la guerra riguardava una questione interna del medio oriente ed altre preoccupate dall'aumento dell'influenza statunitense in Kuwait. Infine comunque molte nazioni si convinsero delle intenzioni belligeranti dell'Iraq verso gli altri stati arabi e offrirono aiuti economici.
L'Italia ha partecipato schierando nel golfo Persico sin dall'inizio dell'invasione del Kuwait una forza navale nell'Operazione Golfo 2 e partecipato ai bombardamenti con dei Tornado. Al termine delle ostilità alcuni cacciamine hanno continuato a operare per bonificare le acque da mine navali.
Ecco una tabella con il numero di truppe schierate e i maggiori eventi che hanno caratterizzato l'impegno di ciascun paese:[6]
L'operazione Instant Thunder fu il nome preliminare dato all'attacco aereo pianificato dagli Stati Uniti durante la guerra del Golfo.[7] Fu pianificata come un attacco in forze che avrebbe dovuto devastare le forze militare irachene con perdite minime di civili.[8][9] La pianificazione utilizzò il modello del cinque anelli.[9]
L'operazione era costituita da tre fasi separate. La più breve fu la prima, che avrebbe utilizzato la "soppressione delle difese" per stabilire il controllo dello spazio aereo iracheno e kuwaitiano, eliminando i radar nemici, tagliando le linee di trasporto utilizzate dall'esercito iracheno e neutralizzando tutte le batterie antiaeree. La prima fase dell'operazione includeva anche il bombardamento di tutte le postazioni di comando militari e dei siti sospettati di contenere armi chimiche. La seconda fase avrebbe dovuto disabilitare l'esercito iracheno, assieme alle infrastrutture della nazione. Per conseguire questi obiettivi sarebbero stati bombardati i depositi di armi, le raffinerie e altre strutture critiche, rendendo impossibile riparare o costruire gli armamenti.
Altri bersagli sarebbero state le infrastrutture civili, come centrali elettriche e linee telefoniche. Infine, l'ultima fase avrebbe compreso il combattimento diretto con le forze irachene. Indebolite dalle prime due fasi, l'esercito non avrebbe fornito molta resistenza.
La pianificazione dell'operazione Instant Thunder iniziò il 5 agosto 1990. Quando iniziarono le ostilità il 17 gennaio 1991, le tre fasi si consolidarono nell'operazione Tempesta nel Deserto, poiché venne considerata anche un'offensiva di terra.
Il giorno successivo alla scadenza dell'ultimatum, la coalizione lanciò una massiccia campagna aerea con il nome in codice di Operazione Tempesta nel Deserto, con più di 1000 uscite al giorno. Iniziò con la distruzione di due siti radar iracheni da parte di 8 elicotteri AH-64 Apache e due elicotteri Pavelow lungo il confine Arabo-Iracheno alle 2:38 ora di Baghdad. Alle 2:43 due EF-111 Raven guidarono 22 F-15 Eagle contro gli aeroporti H-2 e H-3 nell'Iraq occidentale. Qualche minuto dopo uno degli EF-111 mise a segno il primo abbattimento contro un Dassault Mirage iracheno.
Alle 3, dieci stealth F-117 Nighthawk sotto la protezione degli EF-111 bombardarono la capitale Baghdad. Nel mentre vari bersagli della città erano colpiti dai missili cruise BGM-109 Tomahawk mentre altri bersagli erano colpiti da aerei della coalizione. L'attacco continuò per ore. Il quartier generale del governo, le stazioni televisive, le piste dell'aviazione e i palazzi presidenziali furono distrutti.
Altre armi utilizzate nella campagna aerea furono anche le cosiddette "bombe intelligenti" e i missili da crociera, assieme alle bombe a grappolo e le bombe "TagliaMargherite". L'Iraq rispose lanciando il giorno successivo otto missili Scud contro Israele. Questi tipi di attacchi continuarono per tutta la durata del conflitto, in totale contro Israele verranno lanciati 42 Scud, che non reagì, per la necessità di fare restare unita la coalizione, composta anche da paesi arabi, che in caso di reazione israeliana, avrebbero defezionato.
La priorità primaria delle forze della coalizione fu la distruzione della forza aerea e antiaerea irachena, un obiettivo che venne raggiunto velocemente. Di conseguenza, gli aerei della coalizione poterono operare senza troppe difficoltà. Anche se le capacità antiaeree irachene furono superiori al previsto, solo un F/A-18 Hornet venne abbattuto nel primo giorno delle operazioni. Le installazioni di missili terra-aria (SAM) irachene furono distrutte attraverso l'uso di EA-6B, EF-111, F-4G, F-16C, F/A-18 e gli F-117, e successivamente poterono essere inviati in sicurezza gli altri aerei. Le missioni vennero lanciate principalmente dalle basi dell'Arabia Saudita e da sei portaerei della coalizione posizionate nel golfo Persico e nel mar Rosso. Nel golfo Persico erano presenti la USS Midway (CV 41), la USS John F. Kennedy (CV-67) e la USS Ranger (CV-61) (classe Forrestal) mentre la USS America (CV-66), la USS Theodore Roosevelt (CVN-71) e la USS Saratoga (CV-60) nel mar Rosso. Da queste navi partivano gli F-14 Tomcat, impiegati per annientare le difese aeree irachene; infatti abbatterono numerosi MiG-29, Mirage F-1, MiG-23, MiG-25.
I successivi bersagli furono le strutture di comando e comunicazione, nella speranza dei pianificatori della campagna militare di collassare velocemente la resistenza irachena.
La prima settimana delle operazioni vide poche uscite irachene, che causarono pochi danni. 38 MiG e Mirage iracheni furono abbattuti dagli aerei della coalizione (principalmente F-14 Tomcat ed F-15 Eagle) e subito dopo le forze aeree irachene iniziarono a dirigersi verso l'Iran.[10] Questo esodo di massa (da 115 a 140 aerei) in Iran prese in contropiede le forze della coalizione, poiché si supponeva che si sarebbero diretti in Giordania, una nazione più amichevole verso l'Iraq dell'Iran, che fu per lungo tempo una nazione ostile. La coalizione aveva infatti posizionato degli aerei sull'Iraq occidentale per fermare una tale ritirata verso la Giordania, e non fu in grado di bloccare il passaggio verso l'Iran.
Il 23 gennaio, l'Iraq venne accusato di aver versato in mare 400 milioni di galloni di petrolio nel golfo Persico, provocando la più grande fuoriuscita di petrolio della storia [1]. L'accusa di aver attaccato deliberatamente le risorse naturali per bloccare lo sbarco dei Marines fu negata dal governo iracheno, secondo il quale era stato causato dal bombardamento della coalizione che avrebbe distrutto delle petroliere irachene attraccate.
La terza e più grande fase della campagna aerea era dedicata alla distruzione di obiettivi militari, tra cui: lanciatori di missili Scud-B, siti contenenti armi di distruzione di massa, centri di ricerca militari e forze navali. Circa un terzo della potenza aerea fu concentrato nell'attacco delle postazioni di Scud, che erano su mezzi mobili ed erano difficili da localizzare. Inoltre, alcuni obiettivi erano utili anche per i civili, come centrali elettriche, sistemi di telecomunicazione, strutture portuali, raffinerie, ferrovie e ponti. Le centrali elettriche furono distrutte in tutto il paese, e alla fine della guerra l'elettricità prodotta era scesa al 4% rispetto alla produzione prima della guerra. Le bombe distrussero tutte le principali dighe, le stazioni di rifornimento e molti centri di trattamento delle acque di scarico.
I bersagli iracheni furono localizzati tramite fotografie aeree utilizzando le coordinate GPS in riferimento a quelle dell'ambasciata statunitense a Baghdad. Queste coordinate furono rilevate con precisione da un ufficiale dell'aeronautica nell'agosto del 1990[11].
Nella maggior parte dei casi, la coalizione evitò di colpire le strutture civili. Tuttavia, il 13 febbraio 1991 due bombe intelligenti a guida laser distrussero una struttura che era, secondo gli iracheni, utilizzata come scudo civile per gli attacchi aerei, uccidendo centinaia di civili. Gli ufficiali statunitensi affermarono invece che la struttura era un centro militare di comunicazioni.[12] L'ex direttore del programma nucleare iracheno, nel suo libro Saddam's Bombmaker supporta la teoria che la struttura era utilizzata per entrambi gli scopi. Altre fonti contestano queste affermazioni.
L'Iraq lanciò dei missili sulle basi della coalizione nell'Arabia Saudita e in Israele, sperando di trascinare Israele in guerra e allontanare gli stati arabi dal conflitto. Questa strategia fu inefficace: Israele non si unì alla coalizione, mentre rimasero in essa tutti gli stati arabi tranne la Giordania, che restò ufficialmente neutrale. I missili Scud causarono in generale danni leggeri, anche se la loro pericolosità divenne chiara il 25 febbraio quando un missile distrusse una caserma statunitense a Dhahran uccidendo 28 persone. Quelli diretti verso bersagli israeliani furono poco efficaci perché al crescere della distanza gli Scud perdono precisione in modo considerevole. Gli Stati Uniti dispiegarono due battaglioni di missili Patriot in Israele per deflettere gli attacchi nelle aree civili. Le forze aree alleate inoltre diedero caccia alle postazioni missilistiche nel deserto iracheno.
Le forze della coalizione dominarono l'aria grazie alla supremazia tecnologica, ma il divario tecnologico per le forze di terra era addirittura superiore. Le truppe della coalizione possedevano il grande vantaggio di operare sotto la protezione della supremazia aerea creata dalla forza aerea prima dell'avvio dell'offensiva di terra. Oltre a questo possedevano altri due vantaggi tecnologici:
Le prime unità in territorio iracheno furono tre pattuglie dello squadrone B dello Special Air Service britannico, con il nome in codice di Bravo One Zero, Bravo Two Zero e Bravo Three Zero. Queste pattuglie, costituite da otto soldati, atterrarono dietro alle linee nemiche per raccogliere informazioni di intelligence sui movimenti dei sistemi di lancio Scud che non potevano essere rilevati dal cielo. Gli obiettivi includevano anche la distruzione di un fascio di fibre ottiche per le comunicazioni.
Gli elementi della 2a brigata, 1a divisione cavalleria effettuarono un'operazione di ricognizione il 9 febbraio 1991, seguita da una seconda operazione di ricognizione che distrusse un battaglione iracheno. Il 22 febbraio l'Iraq accettò un accordo di cessazione dell'ostilità da parte dell'Unione Sovietica, che prevedeva il ritiro delle truppe irachene fino alle posizione precedenti all'invasione entro sei settimane seguito da una totale cessazione delle ostilità, sotto il monitoraggio del consiglio di sicurezza ONU. La coalizione rifiutò la proposta, ma affermò che le forze irachene non sarebbero state attaccate mentre si ritiravano. Per questo la coalizione lanciò il definitivo ultimatum esattamente alle 12:00 pm Eastern Standard Time del 22 febbraio 1991 (20:00 ora locale a Baghdad) stabilendo un periodo di 24 ore entro il quale Saddam avrebbe dovuto ritirare le truppe incondizionatamente dal Kuwait senza essere attaccato, precisamente l'ultimatum sarebbe scaduto alle 12:00 pm del giorno seguente (23 febbraio 1991), 20:00 ora locale a Baghdad. Il lancio dell'ultimatum fu dichiarato ufficialmente dal presidente americano George H.W. Bush: "The coalition, will give Saddam Hussein, until noon Saturday, to do what he must do, begin, his immediat, and unconditional withdraw from Kuwait. (la coalizione, darà a Saddam Hussein, fino a mezzogiorno di sabato, la possibilità di fare ciò che deve essere fatto, cioè iniziare l'immediato e incondizionato ritiro dal Kuwait)".
Alle 04:00 di notte del 24 febbraio 1991 la 6ª divisione leggera francese (che includeva unità della legione straniera francese e facente parte del XVIII corpo D'armata composto oltre che dalla 24ª divisione di fanteria meccanizzata, dal 3 reggimento di cavalleria corazzata, dall'82ª e dalla 101ª divisione aviotrasportata) penetrò in Iraq per molti km fino all'aeroporto di As Salman per creare un muro difensivo contro un eventuale contrattacco iracheno dal nord; simultaneamente le truppe saudite della 20 brigata corazzata penetrarono lungo la costa del Kuwait, e allo stesso tempo la 1a e la 2ª divisione marines (supportate dalla brigata Tiger della ormai smantellata 2ª divisione corazzata dell'esercito USA di stanza nella repubblica federale tedesca) entrarono anch'esse nel Kuwait senza incontrare resistenza. Due ore dopo alle 08:00 am la 101ª divisione aviotrasportata conduce un attacco aereo con gli elicotteri UH-60 Black Hawk per la costruzione di una zona di rifornimento per gli elicotteri da attacco AH 64 Apache. Subito dopo, il VII Corpo statunitense, lanciò un attacco in Iraq alle 14,35, a ovest del Kuwait, prendendo le forze irachene di sorpresa.
Il VII corpo d'armata era composto da: la 1ª divisione di fanteria meccanizzata dell'esercito USA, la 1ª e la 3ª divisione corazzata dell'esercito USA, la 1ª divisione corazzata britannica, e il 2 reggimento di cavalleria corazzata dell'esercito USA e dalla 1ª divisione di cavalleria dell'esercito USA. Il 25 febbraio 1991 mentre le battaglie infuriavano la divisione di cavalleria era rimasta ferma per far credere agli iracheni che un altro attacco era imminente sullo Wadi al Batin, però ormai il giorno dopo, il 26 febbraio,era ormai chiaro l'intento del VII corpo d'armata: accerchiare girando verso est, tagliare fuori e annientare la guardia repubblicana sul confine tra Iraq e Kuwait. Di conseguenza la 1ª divisione di cavalleria si ricongiunse con il VII corpo d'armata quasi completando l'accerchiamento. Il fianco destro era protetta dalla 1ª divisione corazzata britannica.
Alla fine gli alleati entrarono in contatto con la temuta guardia repubblicana sul confine annientandola quasi completamente
L'avanzamento della coalizione fu più veloce di quanto i generali statunitensi si erano aspettati. Il 26 febbraio le truppe irachene iniziarono a ritirarsi dal Kuwait, incendiando tutti i campi petroliferi Kuwaitiani che incontrarono. Un lungo convoglio di truppe irachene in ritiro si formò lungo la principale autostrada tra Iraq e Kuwait. Questo convoglio venne bombardato così intensamente dalla coalizione che divenne noto con il nome di "Autostrada della morte". Le forze della coalizione continuarono ad inseguire le forze irachene oltre il confine ed oltre, prima di rientrare quando gli iracheni si trovarono ad una distanza di 240 km da Baghdad.
Un centinaio di ore dopo l'avvio della campagna di terra alle 04:00 am del 24 febbraio, il presidente Bush dichiarò la cessazione delle ostilità e il 28 febbraio alle ore 08:00 am a Baghdad (mezzanotte del 27 febbraio Eastern Standard Time) dichiarò la liberazione del Kuwait e la fine della guerra del golfo.
Anche se venne detto che il numero delle truppe irachene oscillava intorno alle 545 000 unità, al giorno d'oggi molti esperti ritengono che le valutazioni quantitative e qualitative dell'esercito iracheno furono esagerate, poiché includevano anche le unità temporanee e ausiliarie. Molti soldati iracheni erano giovani, con scarse risorse e un addestramento inadeguato.
La coalizione inviò 540 000 unità, oltre a 100 000 soldati turchi che furono dispiegati lungo il confine tra Turchia e Iraq. Questo provocò la diluizione delle forze irachene che si dovettero dispiegare lungo tutti i confini del paese. In questo modo l'avanzata statunitense non solo fu avvantaggiata dalla superiorità tecnologica, ma anche dalla quantità maggiore di forze in campo.
Saddam Hussein acquistò equipaggiamento militare da quasi tutti i principali fornitori presenti nel mercato mondiale degli armamenti. In questo modo non ci fu una standardizzazione dell'esercito, che era molto eterogeneo e soffriva di inadeguata preparazione e motivazione. La maggior parte delle forze corazzate irachene utilizzava dei vecchi carri armati cinesi Type-59 e Type-69, dei T-55 sovietici risalenti agli anni '50 e '60 e alcuni T-72 più moderni. Questi veicoli non erano equipaggiati con gli ultimi ritrovati bellici (ad esempio la visione termica): ne conseguì che la loro efficacia in combattimento fu molto limitata. Inoltre gli iracheni non riuscirono a trovare delle contromisure efficaci per le visuali termiche e i proiettili perforanti a rilascio d'involucro utilizzati dai carri armati M1 Abrams e Challenger 1. Questa tecnologia permise ai carri armati della coalizione di ingaggiare e distruggere efficacemente i carri iracheni da una distanza tre volte superiore a quella dei loro avversari. Gli iracheni non possedevano neppure dei proiettili efficaci per l'armatura Chobham dei carri statunitensi e britannici.
Le forze irachene non utilizzarono le tecniche di guerriglia urbana che avrebbero potuto sfruttare nella città di Kuwait City. In questo modo avrebbero potuto annullare alcuni vantaggi tecnologici della coalizione. Tentarono di adottare la dottrina sovietica sviluppata negli anni '50 per gli attacchi in massa, ma l'implementazione fallì a causa della scarsa preparazione dei comandanti e degli attacchi aerei preventivi statunitensi contro bunker e centri di comunicazione.
Per approfondire, vedi la voce sindrome della guerra del Golfo. |
Circa 50 000 soldati statunitensi su 700 000 mandati nel Golfo nel '91 per combattere la "guerra tecnologica" contro Saddam Hussein contrassero una malattia che intaccava il sistema immunitario. La malattia nota come «sindrome del Golfo» è da attribuirsi a vaccini sperimentali che il Pentagono fece iniettare a tutti i militari indistintamente. I figli di questi soldati nacquero con gravi malformazioni e malattie incurabili come la mancanza di organi interni, paralisi, problemi respiratori. Questa agghiacciante verità è arrivata all'attenzione del grande pubblico grazie ad un regista italiano, Alberto D'Onofrio, il quale ha girato un documentario per conto della Rai con le testimonianze di persone che hanno avuto a che fare con questa malattia, il filmato non è stato mai mandato in onda dalla tv pubblica. D'Onofrio gira l'Italia con il filmato per far conoscere i fatti; Sudnews ha allestito un sito e un forum per dare un contributo alla divulgazione delle atrocità che una guerra comporta.
L'uranio impoverito fu utilizzato nella guerra nei proiettili perforanti e nelle munizioni dei cannoni da 20–30 mm. L'uranio impoverito è un metallo pesante la cui tossicità è analoga ad altri metalli come il piombo e il tungsteno,[13] e il suo uso fu indicato come un fattore decisivo in molti problemi di salute sia nei soldati che nelle popolazioni civili, anche se la comunità scientifica non ha raggiunto un parere unanime.[14]
Per approfondire, vedi la voce Autostrada della morte. |
Nella notte tra il 26 e il 27 febbraio 1991, le forze irachene in fuga iniziarono a lasciare il Kuwait attraverso l'autostrada a nord di Al Jahra. Una colonna di circa 1400 veicoli militari e civili venne attaccata dai caccia della aeronautica e della marina statunitense. L'attacco, molto controverso, distrusse tutto il vasto convoglio, attraverso un bombardamento durato diverse ore. Alcuni veicoli del convoglio erano rubati e caricati con bottini di guerra provenienti dal Kuwait.
La televisione irachena mostrò alcuni prigionieri di guerra con visibili segni di abusi mentre ripudiavano la coalizione. Tra questi, furono presi come prigionieri anche gli italiani Maurizio Cocciolone e Gianmarco Bellini.
Alcune forze irachene che attraversarono il confine con il Kuwait si stavano ritirando, ma le forze della coalizione continuarono ad inseguire ed attaccare i resti delle forze irachene in ritiro attraverso il territorio iracheno. Il mandato ONU richiedeva l'espulsione delle forze militari di Saddam Hussein dal Kuwait, e secondo alcuni non autorizzava l'attacco nel territorio iracheno. Qualche ufficiale militare giustificò l'attacco evidenziando la necessità di prevenire il raggruppamento e la riorganizzazione di un contrattacco delle forze irachene.
Il Dipartimento della Difesa statunitense riferì la perdita di 148 soldati in battaglia e un pilota disperso (identificato solo nell'estate del 2009), altri 145 statunitensi morirono in incidenti non legati a combattimenti. Il Regno Unito accusò la perdita di 24 soldati, la Francia 2 e le nazioni arabe 39.[15]
Il numero di feriti della coalizione fu di 776 in combattimento, tra cui 467 statunitensi.[16] Tuttavia, nell'anno 2000, 183 000 veterani statunitensi della guerra del Golfo, più di un quarto delle truppe che vennero inviate nel Golfo, fu dichiarata affetta da invalidità permanenti dal Deparment of Veterans Affairs.[17] Circa il 30% delle 700 000 persone che servirono nelle forze statunitensi durante la guerra soffrono attualmente di gravi sintomi le cui cause sono da attribuire all'utilizzo di uranio impoverito e altri elementi tossici utilizzati dalle forze della Coalizione.[18]
Mentre la conta dei morti tra le forze della coalizione che parteciparono a battaglie contro gli iracheni fu relativamente basso, molti incidenti fatali avvennero a causa di attacchi accidentali da parte di forze amiche. Dei 147 statunitensi morti in battaglia, il 24% fu uccisa dal fuoco amico. Altri 11 morirono nell'esplosione di munizioni alleate. Nove britannici furono uccisi dall'attacco di un A-10 Thunderbolt II che aveva scambiato i loro trasporti per mezzi nemici.
Delle prime stime stabilirono la morte di 100.000 iracheni, mentre altre quantificarono tra le 20.000 e le 35.000 perdite irachene ed altre ancora 200.000.[19] Un rapporto commissionato dall'aeronautica statunitense stimò le morti irachene in combattimento tra le 10.000 e le 12.000 unità durante la campagna aerea e 10.000 nella campagna di terra[20], questi dati si basarono sui rapporti dei prigionieri di guerra.
Il governo iracheno affermò che 2.300 civili morirono durante la campagna aerea, molti dei quali durante l'attacco degli F-117 su un edificio a Baghdad che era contemporaneamente un centro militare per le comunicazioni e un riparo per i civili.
In base al Project on Defense Alternatives study[21], 3.663 civili iracheni e tra 20.000 e 26.000 militari vennero uccisi nel conflitto.
L'aumento dell'importanza degli attacchi aerei compiuti con aerei e missili da crociera ha lasciato molte polemiche sul livello delle morti civili causate nelle prime fasi della guerra. Nelle prima 24 ore venne compiute più di 1000 uscite, la maggior parte contro bersagli a Baghdad. La città subì dei forti bombardamenti poiché era la base del potere del presidente Hussein e del complesso di comando e controllo militare iracheno.
Durante la lunga campagna di bombardamenti che precedette la campagna di terra, molti attacchi aerei causarono perdite tra i civili. In un episodio, i bombardieri stealth attaccarono un bunker ad Amirya, dove vi erano rifugiati dei civili. Tra i 200 e i 400 civili morirono nell'attacco e montarono delle polemiche sullo status del bunker, che secondo alcuni era un riparo civile, mentre altri riferirono che era un centro per le comunicazioni militare e i civili furono deliberatamente spostati lì per essere usati come scudi umani. Una ricerca guidata da Beth Osborne Daponte ha stabilito che le morti tra i civili raggiunsero le 100 000 unità.[19]
Le perdite in combattimento dalla Coalizione ammontano in tutto a 213 soldati (146 statunitensi, stando alle dichiarazioni dell'ex-vicepresidente Dick Cheney in un'intervista del 1994). Quelle irachene invece sono più difficili da stimare: le valutazioni variano da circa 20 000 ad oltre 100 000 morti, fra cui diverse migliaia di civili.
Il presidente statunitense Bush si attenne al mandato dell'ONU, evitò di penetrare in profondità in territorio iracheno e di rovesciare il regime di Saddām; questo anche per timore che un vuoto di potere portasse ad una situazione ancora peggiore (come una guerra civile in Iraq, o un allineamento fra Iran ed Iraq). Bush optò invece per una politica di contenimento:
Questa politica fu proseguita senza grandi cambiamenti dall'amministrazione Clinton (1993-2000).
Tuttavia con l'ascesa alla presidenza statunitense del secondo presidente Bush (2001), e specialmente dopo gli attentati terroristici dell'11 settembre 2001, gli Stati Uniti si dimostrarono sempre più insofferenti di questa situazione, tanto che nel 2003 raccolsero una seconda coalizione, rovesciando il regime di Saddam Hussein (si veda guerra in Iraq).
La Guerra del Golfo ha ispirato dischi e canzoni di protesta, quali:
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